Sott’acqua i resti di Pyrgi

Nelle acque di Santa Severa i resti della città etrusca di Pyrgi

La storia della civiltà Etrusca di Pyrgi riemerge dal mare. Dai fondali dell’acqua cristallina che bagna la costa al cospetto del castello di Santa Severa, a circa cinquanta chilometri a nord di Roma. È qui che un’équipe di archeologi subacquei sta riscrivendo in queste ore la storia del leggendario porto etrusco di Pyrgi, considerato dalle fonti “l’approdo degli Dei”, antichissimo avamposto nel Mediterraneo al servizio della potenza di Cerveteri, reso immortale per il grande santuario che accoglieva un complesso di templi colossali, sacelli e altari, dove dimorava la fenicia Astarte insieme a Uni, la Giunone etrusca, in singolar tenzone con Apollo, Eracle, Thesan e Tinia.

«L’erosione del mare nei secoli ha sommerso una parte dell’abitato antico, e i resti delle abitazioni, dei luoghi di culto e dei moli del porto giacciono ora sparsi sul fondo del mare alla profondità di circa due, tre metri», racconta Flavio Enei, direttore del Museo del Mare e della Navigazione Antica di Santa Marinella che sta guidando le indagini con il Centro Studi Marittimi del Gruppo Archeologico del Territorio Cerite, e con la supervisione della Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria.

Vista dell'area archeologica di Pyrgi
Vista dell’area archeologica di Pyrgi

Le immersioni alla scoperta di Pyrgi

Nel corso delle immersioni sono stati intercettati per la prima volta una serie di pozzi annessi alle originarie abitazioni etrusche ancora rintracciabili in fondo al mare. Non altro che scrigni di autentici “tesori” che correggono la datazione precisa della Pyrgi arcaica al VII secolo a.C. e svelano usi e costumi inaspettati degli Etruschi.

A riaffiorare sono metalli, ceramiche ma soprattutto rarissimi oggetti in legno che il fango e la totale umidità ha perfettamente conservato fino ai giorni nostri. «Questi oggetti lignei sono da considerarsi unici nel panorama dei reperti di epoca etrusca – commenta Flavio Enei – un boccale, addirittura una doppia rotella che corrisponde ad una sorta di yoyo ante litteram, e un intero rastrello a più denti».

Oggetti delicatissimi, volati subito nei laboratori hi-tech dell’Istituto superiore per il Restauro che sta curando il trattamento conservativo.

Non solo. «Anche l’analisi archeobotanica dei sedimenti contenuti nel vasellame e nella terra dei pozzi sommersi ha condotto ad importanti scoperte relative alle essenze vegetali presenti intorno alle strutture all’epoca del loro funzionamento, tra le quali spicca il papavero», rivela Enei.

A sorprendere gli archeologi subacquei è lo stato di conservazione di numerosi semi di frutti consumati dagli etruschi di Pyrgi e finiti, o forse offerti, alle divinità insieme agli oggetti gettati o deposti nei pozzi. Olive, fichi, nocciole, uva, prugne, e poi i cereali, frumento e orzo. È ormai pronta una carta archeologica del fondale di Pyrgi che rivela i resti degli edifici esistiti un tempo sulla terraferma.

Come annuncia Enei: «Gli studi svolti con l’Enea, da anni impegnati nell’analisi del sollevamento marino nel Mediterraneo, hanno consentito di scoprire quanto il mare sia salito rispetto all’antichità. In particolare, per quanto riguarda gli ultimi 2.500 anni, le scoperte di Pyrgi hanno contribuito a capire che rispetto all’epoca etrusca tra VII e VI secolo a.C. il mare è salito di almeno 1,60 cm e di circa 1,20 cm, rispetto all’epoca romana augustea, intorno all’anno 0».

Il sogno ora è di poter creare una zona protetta, un’oasi blu, che arricchisca la proposta culturale e turistica del litorale nord di Roma.

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