Sabato 27 febbraio sarà presentato presso il Salone del IV Stato del Museo delle Tradizioni Popolari di Canepina nei pressi di Viterbo, l’edizione integrale italiana di George Dennis Città e Necropoli d’Etruria.
Sabato 27 febbraio a Canepina, in provincia di Viterbo, sarà presentato “Città e Necropoli d’Etruria” di George Dennis. Le curatrici Elisa Chiatti e Silvia Nerucci saranno presenti alla presentazione coordinata da Quirino Galli; relatore Pietro Tamburini. Il Museo Delle Tradizioni Popolari di Canepina occupa una buona parte dell’antico convento dei frati Carmelitani. L’ubicazione del Museo nella seicentesca struttura, ormai di proprietà del Comune dopo il 1870, fu voluta dal Sindaco Rosato Palozzi.
Città e Necropoli d’Etruria, è stato tradotto da Domenico Mantovani, ed è la primissima edizione italiana integrale del famosissimo The Cities and Cemeteries of Etruria di George Dennis, diplomatico, esploratore, ed archeologo britannico, che a nell’Ottocento dedicò parte della sua attività alla scoperta e riscoperta degli Etruschi e dell’antica Etruria. La nuova edizione, appena stampata, è composta in due volumi non divisibili, per oltre 1200 pagine complessivamente e può essere considerato un classico degli etruschi e dell’etruscologia e allo stesso tempo un affascinante libro di viaggio.
INFORMAZIONI UTILI
MUSEO DELLE TRADIZIONI POPOLARI DI CANEPINA
LARGO MARIA DE MATTIAS, 7
(EX CONVENTO DEI CARMELITANI)
Necropoli della Banditaccia in 3D: Cerveteri rivive grazie ai droni e alla tecnologia
La rinascita degli Etruschi con la tecnologia, tra ricostruzioni tridimensionali e droni. Protagonista, la Necropoli della Banditaccia di Cerveteri, al centro di un progetto di acquisizioni 3D messo in campo dalla Soprintendenza del Lazio e dell’Etruria meridionale guidata da Alfonsina Russo Tagliente, che sarà presentato il 4 febbraio nell’ambito del Convegno internazionale di archeologia aerea all’Accademia Belgica. L’operazione permette una inedita conoscenza del sito monumentale attraverso la replica digitale ad alta definizione dei tumuli e complessi funerari. Il tutto tradotto in una visita interattiva di grande suggestione.
La Necropoli della Banditaccia in 3D: il progetto
La Soprintendenza del Lazio e dell’Etruria meridionale dal 2014, grazie alla collaborazione stretta con il CNR-ITABC ed il CNRS francese, ha avviato una intensa attività di rilievo nella zona della Necropoli della Banditaccia (per saperne di più sulla Necropoli di Cerveteri cliccare qui) avvalendosi dell’utilizzo delle più avanzate e sofisticate tecniche di acquisizioni 3D come la fotogrammetria da UAV (in poche parole i Droni), la fotogrammetria a terra e gli scanner laser.
Il risultato di questo studio, che rappresenta un approccio davvero innovativo per quel che concerne la fruizione della Necropoli della Banditaccia, sarà presentato il 4 febbraio 2016.
Tale progetto consente un’accessibilità decisamente maggiore ad uno dei siti archeologici etruschi più importanti grazie alla replica digitale ad altissima definizione del complessi funerari e dei tumuli, rivelandoci una Necropoli della Banditaccia in 3D, con la spettacolare Tomba dei Rilievi e il Tumulo Mengarelli.
La Necropoli della Banditaccia in 3D consentirà una visita interattiva di notevole suggestione ed un accesso a dir poco privilegiato sul mondo degli Etruschi e sulla loro vita nell’antica Caere.
Un recente studio sulla genetica degli etruschi, getta nuova luce su una delle popolazioni più enigmatiche di sempre
Gli etruschi, civiltà sorta nell’VIII secolo avanti Cristo, non venivano dall’Oriente, ma erano autoctoni. E il loro Dna è ancora presente, identico a quello di 2.500 anni fa, in alcune popolazioni toscane. Sono le conclusioni di uno studio che, grazie alla genetica degli etruschi, apre nuovi scenari su uno dei popoli più misteriosi della storia.
Da anni Guido Barbujani, docente di genetica all’università di Ferrara e David Caramelli, docente di antropologia dell’università di Firenze, si interrogano – insieme a diversi storici e archeologi – sulle vere origini degli etruschi e su cosa sia successo a questa misteriosa civiltà dopo la scomparsa della loro lingua. Fin dall’antichità le ipotesi sulle loro origini sono fondamentalmente due: quella riportata da Erodoto e da Dionigi di Alicarnasso, il primo parlò di una migrazione dalla Lidia, cioè dall’Anatolia, in seguito a un evento epocale come una grande carestia (un’ipotesi, questa, poco credibile secondo gli archeologi, in quanto non si hanno testimonianze che all’epoca potessero migrare intere popolazioni). Il secondo, invece, sostenne che gli etruschi fossero una popolazione già stanziata in Italia da molto tempo.
Già nel 2007, il team di ricerca Barbujani-Caramelli sposò la teoria di Dionigi, e iniziò a studiare la genetica degli etruschi. Analizzando il Dna antico mitocondriale, questo risultò essere non del tutto equivalente a quello delle popolazioni che abitavano nelle zone dove, storicamente, si trovavano gli insediamenti etruschi più importanti. Nel Dna dei resti trovati nei sepolcri della Toscana, di Adria e Capua, in altre parole, non venne riscontrata somiglianza genetica totale con toscani, adriesi a capuani moderni.
Somiglianza che, invece, ci si sarebbe aspettato di trovare se questi ultimi fossero stati davvero i discendenti dei primi. Ma i dubbi e, soprattutto, la voglia di conoscere di più la genesi di questo popolo enigmatico, hanno indotto i due ricercatori ad approfondire e perfezionare negli anni la ricerca. Fino a uno studio più recente che ha portato a conclusioni molto più chiare, sia da un punto di vista genetico che storico.
Studi recenti sulla genetica degli etruschi
La civiltà etrusca è documentata in Etruria dall’VIII secolo avanti Cristo ed è confermata da una cultura, da una lingua non indoeuropea e da un alfabeto di derivazione greca. La disponibilità di rame e di ferro e l’abilità nella navigazione sono i principali fattori che hanno portato all’espansione etrusca su un’ampia zona dell’Italia centrale nel VI e nel V secolo avanti Cristo. La dominazione espansionistica romana, poi, ne causò un declino dell’influenza politica e, a partire dal I secolo avanti Cristo, la lingua scomparve da ogni testimonianza archeologica. La nuova ricerca conferma i dati acquisiti nel 2007 e dimostra anche che gli etruschi in Italia rappresentano un’unica popolazione biologica: non avevano in comune, in altri termini, solo una lingua e una cultura, ma anche un gruppo di antenati.
Gli specifici test statistici che hanno comparato il Dna antico etrusco con quello contemporaneo della popolazione toscana, hanno permesso di verificare se e dove il primo codice genetico possa essere considerato l’antenato diretto del secondo. Si è visto che alcuni toscani, quelli del Casentino e di Volterra soprattutto, conservano tracce riconoscibili dell’eredità genetica degli etruschi. Tratti di Dna identici a quelli documentati 2.500 anni fa. Alcuni toscani, però. Non certo tutti: in un’altra località ricca di reperti etruschi, Murlo nel Senese, e a Firenze, non si sono trovate tracce di un’eredità biologica. La maggior parte dei toscani di oggi discende da differenti antenati, quindi, immigrati in un momento successivo il che dimostra come popolazioni separate anche da pochi chilometri possono avere una storia molto diversa.
Dalle genetica degli etruschi, possiamo capire quali sono le loro origini?
Il confronto con il Dna proveniente dall’Asia dimostra che fra l’Anatolia e l’Italia ci sono state migrazioni, ma che sono avvenute migliaia di anni fa, nella preistoria e, dunque, non hanno rapporto con la comparsa della civiltà etrusca nell’VIII secolo avanti Cristo. Questo smentisce – secondo Barbujani – l’idea di un’origine orientale degli etruschi, intesa come quella di civiltà evoluta che, invece, si è sviluppata in Italia da un gruppo autonomo. Questi risultati sono stati possibili mettendo insieme discipline diverse: genetica, antropologia biologica e paleontologia. Utilizzando tecnologie di sequenziamento di ultima generazione i ricercatori sono riusciti a recuperare informazioni genetiche da molecole di Dna provenienti da campioni vecchi più di 2.000 anni.
La genetica degli etruschi: Metodologia da perfezionare
Barbujani e Caramelli sono stati fra i primi scienziati a coniugare genetica e antropologia per lo studio del Dna di una popolazione europea del passato. Come si sviluppa questo tipo di ricerca? La base dell’indagine è scegliere con cura i reperti archeologici, isolarne e descriverne il codice genetico, confrontarlo con quello delle popolazioni moderne e, poi, sulla base delle somiglianze che emergono, verificare se le ipotesi sulle loro origini siano o no compatibili con l’evidenza genetica. Gli studi anatomici tradizionali sono utili quando si confrontano creature molto diverse, ad esempio i Neanderthal e i Cro-Magnon, ma non ci dicono molto sulle relazioni fra popolazioni vicine. Innanzitutto perché le condizioni ambientali, l’alimentazione, l’attività fisica modificano rapidamente la struttura ossea. Poi, perché la forma del nostro scheletro e del cranio dipendono dall’azione di tantissimi geni che hanno tra di loro iterazioni molto complesse. Per cui le analisi delle ossa degli etruschi avevano portato a concludere che in linea di massima erano simili a quelle di tutte le popolazioni che vivevano lì intorno. Con il codice genetico, invece, c’è meno soggettività. Ma per molti anni c’è stato un limite: si poteva studiare solo una regione, il Dna Mitocondriale, cioè quello contenuto nei mitocondri. In questo modo, e fino a pochi anni fa, era impossibile confrontare dati relativi a geni diversi e capire se dicessero la stessa cosa. Tuttavia, per quanto limitati, i dati genetici mitocondriali hanno offerto per anni l’unica opportunità di comprendere come erano e come si sono evolute le popolazioni del passato.
Intoppi e soluzioni possibili grazie alla genetica degli etruschi
Con il Dna antico il principale problema è il rischio di contaminazione.
Generalmente il codice genetico tratto da reperti fossilizzati è in cattive condizioni, per il naturale deterioramento delle molecole biologiche, più rapido se il luogo è umido. Il primo animale di cui è stato analizzato il Dna antico è un quadrupede estinto, il quagga. Con gli animali capita di estrarre codici genetici ‘estranei’ dalle ossa, ma se c’è stata contaminazione è anche facile individuare quello degli archeologi che hanno disseppellito i resti e dei tecnici di laboratori che lo hanno toccato. Per l’uomo la situazione è più complessa: il Dna del campione e quello del potenziale contaminante non sono distinguibili. Nella recente ricerca, l’applicazione di tecnologie di sequenziamento di nuova generazione (Next generation sequencing, Ngs), nell’ambito della paleontologia ha permesso di recuperare informazioni genetiche da molecole di Dna di campioni più antichi di 2.000 anni. Questo approccio a elevata risoluzione e resa, ha consentito agli studiosi di discriminare bene le molecole endogene del Dna mitocondrialedei campioni etruschi.
Per leggere George Dennis non si deve essere etruscologi. Ma amanti delle antichità degli Etruschi sì.
Oggi vi pubblichiamo un articolo tratto dall’inserto ALIAS uscito sul Manifesto di domenica 27 settembre 2015 a firma di Andreas M. Steiner.
Tutto iniziò con un libro, scritto a mano, in latino: tra il 1616 e il 1619 lo scozzese Thomas Dempster, insegnante di Diritto all’Università di Pisa, grato per l’accoglienza ricevuta, dedica a Cosimo II de’ Medici il De Etruria Regali, la prima, summa dettagliata sulla civiltà etrusca. Poi il libro scompare, misteriosamente. Verrà ritrovato un secolo dopo, in maniera del tutto fortuita tra gli scaffali di un antiquario fiorentino, da un giovane nobiluomo inglese in viaggio per l’Italia, Lord Thomas Coke. Siamo nel 1726 e Coke, resosi conto dello straordinario valore del manoscritto, decide di farlo stampare e ne affidala cura a Filippo Buonarroti, ministro ducale e massimo esperto della materia. Buonarroti integra il testo con commenti e tavole raffiguranti le principali opere etrusche allora note.
La pubblicazione segna l’avvio di una intensa stagione di studi e scoperte. L’anno successivo, nel 1727, nasce la prima istituzione europea di studi etruschi – L’Accademia Etrusca di Cortona – alla quale si iscriveranno i maggiori intellettuali dell’epoca. E, proprio a Cortona, la scorsa estate è stato esposto in una mostra (Seduzione etrusca, dai segreti di Holkham Hall alle meraviglie del British Museum) il manoscritto originale del De Etruria Regali… L’intreccio che vede avviluppati Gran Bretagna ed Etruschi non finisce però qui, anzi si prolunga fino ai giorni nostri: lo scorso luglio, durante il festival BluEtrusco a Murlo (Siena), è stato presentato Città e necropoli d’Etruria, prima edizione integrale in lingua italiana di un altro classico dell’etruscologia, The Cities and Cemeteries of Etruria (London 1848, 18782) del diplomatico e archeologo inglese George Dennis (Nuova Immagine Editrice, a cura di Elisa Chiatti e Silvia Nerucci, traduzione di Domenico Mantovani, pp. 1264, € 48,00). Può apparire strano che nel Paese che alla civiltà etrusca ha dato natali, l’attenzione per un libro così rilevante si sia concretizzata solo ora.
Siamo fuori tempo massimo?
La domanda se la pone Giuseppe M. Della Fina, l’antichista al quale l’editore senese ha affidato l’introduzione dell’opera, suddivisa in due tomi. La risposta è negativa. Ancora oggi uno studioso del mondo etrusco continua a consultare Città e necropoli d’Etruria. Nelle sue pagine sono registrate una serie d’informazioni preziose: monumenti in uno stato di conservazione decisamente migliore rispetto al presente; musei che oggi si presentano in una forma completamente diversa o che, talora, non esistono più; collezioni private andate disperse attraverso il commercio antiquario. E poi c’è la scrittura di George Dennis che, in poche righe, riesce a restituire impressioni e atmosfere di un paesaggio culturale che ancora oggi possiamo riconoscere. Ecco qualche esempio: «Era una giornata meravigliosa quando arrivai a Bolsena. Il cielo era senza una nube – il lago, le sue isolette, e ogni oggetto lungo le spiagge, erano immersi in una vampa di luce e di calore estivo – gli, oliveti erano pieni di contadini seminudi che raccoglievano i grassi frutti – miriadi di folaghe oscuravano le acque, che nessuna vela solcava – il mio occhio spaziava per l’ampio anfiteatro formato dall’antico cratere, e da ogni lato scorgeva le colline dalla base alla cima rese oscure dalle varie tonalità del fogliame. Come era possibile credere a ciò che si presentava ai miei occhi – a ogni mio senso, e ammettere di trovarsi nel colmo dell’inverno, prima che la vegetazione avesse cacciato una gemma o un fiore? Eppure era così, ma era l’inverno dei Paesi meridionali». Oppure: «Da Cetona a Sarteano vi sono solo quattro miglia e la strada è meravigliosa. Essa sale su un’altura ripida ed elevata, coperta di boschi e dalla cima si domina un panorama stupendo sopra la valle del Chiana – Cetona rannicchiata ai piedi del monte che le dà il nome, una massa poderosa di boschi in pendio, tutti ammantati di neve in inverno; Città della Pieve con le torri gemelle, come corna che spuntano dal ciglio delle lunghe colline buie che si estendono a sud; Chiusi, più vicina all’occhio, sopra un’altura rivale e più bassa; la vallata intermedia, con il suo tappeto grigio e bruno di boschi di ulivi e di querce; i laghi che scintillano azzurri in distanza e le cime innevàte degli Appennini che ondeggiano lungo la linea dell’orizzonte».
Per leggere le bellissime pagine di George Dennis, dunque, non si deve essere etruscologi. Ma amanti sì, delle antichità degli Etruschi e, soprattutto, di quel loro testimone silenzioso che, ancora oggi, è il paesaggio dell’Etruria. È il racconto di George Dennis – e, anche, da non dimenticare, quello della scrittrice Elisabeth Hamilton Gray, che nel 1840 pubblicò Tour to the Sepulchres of Etruria in 1839 (ancora in attesa di traduzione!), sulla scia del quale lo stesso George Dennis decise di visitare l’Etruria – a rivelarci, ora di nuovo, il vero «mistero etrusco». Un mistero che, quasi un secolo dopo The Cities and Cemeteries, un intellettuale questa volta italiano, Piero Calamandrei, riassunse con una suggestione di rara potenza: «Incantati dalla benignità di questi limitati orizzonti, qui i primitivi etruschi venuti dall’oriente s’accorsero di aver scoperto la patria: nella misura di questi panorami è il segreto della loro pensosa civiltà» (da Inventario della casa di campagna, 1938, recentemente riedito dalle Edizioni di Storia e Letteratura).
Chi è George Dennis?
George Dennis è stato un esponente di spicco dell’archeologia del Romanticismo nel cui ambito si era formato. Per lui pur con una salda cultura classica e una ottima conoscenza delle fonti letterarie greche e latine – la ricerca archeologica era avventura. In proposito osserva Della Fina: «confrontando l’edizione del 1848 e quella del 1878 si avverte, in più punti, il suo rimpianto per una stagione diversa e di cui comprendeva bene il progressivo esaurirsi. L’archeologo iniziava a divenire un mestiere; affascinante, ma pur sempre un mestiere. Per lui era stato altro».
George Dennis nasce a Londra nel 1814 e sin da ragazzo dimostra interesse per i viaggi e il mondo classico. Nei primi anni trenta visita il Galles, la Scozia e quindi il Portogallo e la Spagna meridionale. Da quest’ultima esperienza prende spunto il suo primo libro, A Summer in Andalucía (1839), che incontra un successo notevole. Sei anni dopo pubblica The Cid: a Short Chroniclefounded on the Early Poetry of Spain che raccoglie dodici articoli usciti inizialmente anonimi nel «Penny Magazine». Agli inizi degli anni quaranta sceglie di visitare l’Etruria: dalle numerose escursioni in zone allora difficili da raggiungere e, in diverse località, flagellate dalla malaria nasce il libro The Cities and Cemeteries of Etruria pubblicato a Londra in prima edizione nel 1848: un’opera in due volumi che complessivamente superano le mille pagine. Nello stesso anno entra a far parte del Colonial Office e l’incarico – svolto nella Guiana Britannica – lo allontana per più di dieci anni dall’Europa e dal Mediterraneo. Solo negli anni sessanta, ammesso nella carriera diplomatica, riesce a rientrare e diviene vice console e poi console britannico in Sicilia, in Libia e in Turchia: torna perciò agli studi classici e intraprende campagne di scavo più o meno fortunate. Gli anni settanta sono l’occasione per una revisione profonda della sua opera più celebrata e, nel 1878, esce la seconda edizione, profondamente rinnovata rispetto alla prima dove l’autore (che aveva simpatizzato per il Risorgimento italiano e, in particolare, per Garibaldi) si sforza di segnalare anche i mutamenti avvenuti a livello politico e sociale. Nel frattempo scrive la guida A Handbook for Travellers in Sicily. Nuovi viaggi e ulteriori campagne di scavo caratterizzano il decennio seguente: nel 1888 George Dennis si ritira dall’attività diplomatica. Muore a Londra nel 1898. Oltre a essere autore dei volumi citati, egli collaborò con diverse riviste e fu membro di varie associazioni culturali come il prestigioso Istituto di Corrispondenza Archeologica o la British and American Archeological Society of Rome, di cui fu vicepresidente. Collaborò inoltre con il British Museum e ricevette una laurea honoris causa a Oxford.
David Riondino leggerà dei brani tratti da “Città e Necropoli d’Etruria” stasera al Festival BluEtrusco
Murlo si conferma la capitale dell’archeologia, proponendo appuntamenti di grande spicco incluse le letture di David Riondino del libro di George Dennis appena tradotto. Il libro “The Cities and Cemeteries of Etruria” di Dennis nella sua traduzione italiana di Domenico Mantovani, edito dalla Nuova Immagine Editrice http://nielibrionline.it/, verrà tra l’altro presentato proprio a Bluetrusco, sempre oggi, sabato 18, alle ore 18, con la presenza di molte autorità nel campo etruscologico, a partire da A.M.Steiner, direttoredi Archeo, Christopher Smith, direttore della British School a Roma, e Giuseppe M.Della Fina, direttore scientifico di Bluetrusco, infine stasera David Riondino darà vita a una serata particolarmente importante, proprio per la natura sospesa tra teatro e archeologia, a partire dalle ore 22.
David Riondino recita gli Etruschi: questa sera, alle 22, al castello di Murlo, in anteprima a Bluetrusco, leggerà brani tratti dalla prima traduzione in italiano di un classico dell’archeologia: «Città e necropoli dell’Etruria», di George Dennis. Diplomatico ed esploratore britannico, XIX secolo, è conosciuto per le sue importanti scoperte archeologiche nel territorio dell’Etruria. I suoi resoconti scritti e i suoi disegni degli antichi luoghi e monumenti della civiltà etrusca, con la sintesi delle fonti antiche, sono tra i primi dell’era moderna, un riferimento negli studi di etruscologia.
Di seguito riportiamo l’intervista a David Riondino riportata nella Nazione Siena
Un debutto per David Riondino?
«E’ la prima volta che racconto al pubblico i testi, i racconti di questo importante personaggio: ha catturato la civiltà etrusca e i paesaggi toscani con un’abile prosa e un dettaglio erudito».
E della sua canzone «Gli Etruschi mangiavano molluschi» cosa dice?
«E’ un testo che ho scritto negli anni passati. La parola Etruschi ha sempre stimolato la mia curiosità. E’ particolare con il suo finale ‘uschi’, condiviso con pochi altri termini: appunto molluschi, bruschi, altri rari idiomi. La mia canzone scherza, gioca sulle parole.
Gli Etruschi sono un antico popolo che ha sempre stimolato fascino. Anche perché, fino ad un
passato recente, non si era riusciti a decifrare e comprendere il loro linguaggio, l’idioma. Questo vuoto alimentava una grande immaginazione.Adesso, nonostante tanti progressi, non abbiamo un archivio di opere letterarie etrusche, ma solo cataloghi, strumenti tecnici».
A Riondino artista cosa ispirano gli Etruschi?
«Tutto ciò che è mistero, stimola. Tanto maggiormente per gli Etruschi, la cui arte, lo stile, esercitano un richiamo evocativo. Mi viene in mente una statua di bronzo, ’Ombra della sera’: è un figurone sottile. Sembra una scultura di Alberto Giacometti, con tutta la carica espressiva che queste opere trasmettono».
Insomma, perché il pubblico deve ascoltare il suo racconto?
«Può essere l’occasione per conoscere le origini del nostro territorio attraverso gli Etruschi: sono presenti nell’immaginario toscano ma sono poco valorizzati. Iniziative come Bluetrusco sono occasioni per approfondire questa conoscenza, in modo piacevole, non accademico».
A George Dennis, esploratore, diplomatico e archeologo britannico dobbiamo un’opera sui siti e i monumenti degli etruschi che – a oltre centocinquant’anni dalla sua prima pubblicazione – è ancora preziosa. In questi giorni vede la luce la prima traduzione integrale in italiano dell’opera. Un’iniziativa che salutiamo con entusiasmo e di cui presentiamo alcuni dei passi più significativi.
E’ con orgoglio che vi proponiamo l’articolo di Giuseppe M. Della Fina pubblicato sulla rivista Archeo di Luglio dove viene presentato il nostro ultimo libro “Città e Necropoli di Etruria” di George Dennis.
Sul finire del 1848, a Londra, l’editore John Murray pubblicò la prima edizione di un libro di viaggio destinato ad avere una fortuna duratura: The Cities and Cemeteries of Etruria di George Dennis, di cui ora viene stampata la prima edizione integrale in lingua italiana. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, ma, soprattutto, ci si può chiedere se ne sia valsa la pena. Per un etruscologo italiano la risposta positiva è quasi d’obbligo: si tratta infatti di uno studio che si consulta ancora con una certa frequenza e utilmente.
Da allora il quadro è profondamente mutato, diverse ricostruzioni non sono più condivisibili e singole intuizioni neppure. Inoltre problemi presentati come irrisolti, oggi invece lo sono: penso, per esempio, al tema delle origini degli Etruschi, superato alla luce della lezione di Massimo Pallottino e all’introduzione del concetto di formazione nel dibattito scientifico.
TUSCANIA O TOSCANELLA?
I limiti cronologici attribuiti alla loro civiltà erano allora diversi da quelli attuali e una profonda revisione ha riguardato la datazione delle opere dell’arte e dell’artigianato artistico etrusco. La localizzazione di alcuni insediamenti – segnalati
nelle fonti letterarie latine e greche – non era ancora avvenuta, o se ne accettava una rivelatasi in seguito sbagliata. Sono mutati persino i nomi di singole località come Tarquinia, allora denominata Corneto, o Tuscania che veniva chiamata Toscanella. Perché, dunque, uno studioso del mondo etrusco dovrebbe continuare a consultare Città e necropoli dell’Etruria? Perché nelle sue pagine, sono registrate informazioni preziose. Soprattutto per quello che concerne lo stato di conservazione di numerosi monumenti, decisamente migliore rispetto a quello attuale. Inoltre, l’autore propone con frequenza una descrizione dettagliata di musei che oggi si presentano in una forma completamente diversa o che, talora, non esistono piú. Per non parlare delle collezioni private andate disperse nel frattempo. La sua esposizione consente di riconoscere singole opere d’arte che il commercio antiquario ha portato altrove e di cui è andata perduta la collocazione originaria. Un archeologo può riflettere inoltre su come sia mutato il suo mestiere, un tempo legato principalmente all’analisi della storia dell’arte antica e oggi indirizzato soprattutto verso la ricostruzione della storia sociale ed economica. Né voglio nascondere un altro motivo d’interesse, che va oltre le usuali attitudini degli studiosi o degli appassionati del mondo etrusco: la notevole capacità di scrittura di George Dennis. In poche righe – come si potrà intuire dalla selezione di brani che viene proposta in questo articolo grazie alla disponibilità della casa editrice Nuova Immagine – l’autore riesce a restituire con vivezza un paesaggio, un incontro, uno stato d’animo. Dalla sua opera affiora un’Italia che non esiste piú: si confrontino idealmente le descrizioni fornite con i paesaggi che possiamo osservare noi oggi. Luoghi di cui viene descritta la bellezza struggente e ora trasformati in periferie di centri urbani che sembrano avere perso persino la consapevolezza del proprio passato. Siti carichi di storia divenuti privi d’identità e oggetto di una speculazione feroce.
SIMPATIE RISORGIMENTALI
Anche se – va detto – l’Etruria sa ancora sorprendere: in anni recenti, ho visto le pecore pascolare nel foro di Bolsena, ho visitato aree archeologiche importanti in completa solitudine (la città di Vulcihttp://nielibrionline.it/dh-lawrence-e-george-dennis/1246-vulci-canino-ischia-farnese.html o le necropoli di Castel d’Asso, solo per fare qualche esempio), ho sentito il suono del vento sulle acropoli di Cosa e di Populonia, ho ascoltato il rumore dei miei passi per le vie di Sovana, ho potuto raggiungere monumenti o intere aree archeologiche solo a piedi e con una certa difficoltà. Ho incontrato personaggi singolari, in fondo non diversi da alcuni fissati per sempre da Dennis.
Ho parlato di un’Italia che non esiste più che emerge dalle pagine dello scrittore/archeologo inglese, ma non voglio indulgere nella nostalgia: quello che viene descritto è infatti un Paese povero, flagellato dalla malaria in ampie zone, con condizioni igieniche precarie (una locanda o un albergo pulito vengono segnalati con grande evidenza, quasi con gioia), con un’agricoltura arretrata nei sistemi di conduzione, con una rete di trasporti ampiamente insufficiente almeno ai nostri occhi.
Un Paese che tentava di conquistare con difficoltà una sua unità e condizioni di vita migliore. Proprio verso la nuova Italia andavano le simpatie di Dennis, autore di un pamphlet di denuncia sulle condizioni delle carceri borboniche: egli
chiese, piú tardi, senza successo, al suo editore di pubblicare in inglese le memorie di Giuseppe Garibaldi. In una lettera a lui indirizzata il 22 giugno 1874 afferma: «Vi scrivo su un argomento che forse voi non apprezzate quanto me e, sebbene riguardi il più importante e meraviglioso capitolo dell’Italia moderna, è però di interesse mondiale, cioè Garibaldi. Il vecchio eroe, trascorsi i giorni dei combattimenti, si è messo a scrivere per ricordare, come Cesare, le sue imprese». Nell’edizione del 1878 della sua opera, data alle stampe dopo urla serie di nuovi viaggi in Etruria, non mancò di segnalare con qualche enfasi i mutamenti avvenuti sia nella gestione dei belli culturali che nell’organizzazione stessa della società.
UN ARCHEOLOGO DIPLOMATICO
Ma chi era George Dennis? Era nato a Londra nel 1814 e presto si era sviluppato in lui l’interesse per i viaggi e per il mondo classico. In una lettera ricevuta da uno zio, quando aveva 10 o 12 anni, si può leggere: «Stavo per aggiungere: spero che siate un bravo ragazzo, ma tutti gli zii dicono così. Inoltre so che siete bravo. Spero che siate un tipo vivace, virile, amante del pattinaggio, del nuoto e dell’equitazione, che abbiate in odio l’aritmetica, le bugie, i ragazzi con le unghie sporche, senza guanti, con le scarpe sporche, senza pettine in tasca». In apertura della stessa missiva gli chiedeva: «Quanto siete cresciuto? Siete grande abbastanza da leggere il greco senza vocabolario?».
Negli anni Trenta dell’Ottocento, quando era stato assunto già presso l’Excise Office, dove lavorava anche il padre, ebbero inizio i suoi viaggi: il Galles, la Scozia e quindi il Portogallo e la Spagna meridionale. Da quest’ultimo scaturì il suo primo libro A Summer in Andalucia, che incontrò un successo notevole.
Agli inizi degli anni Quaranta – sempre meno soddisfatto dall’impiego londinese – scelse di visitare l’Etruria. Dalle numerose escursioni in zone allora difficili da raggiungere e dai lunghi soggiorni a Roma nacque The Cities and Cemeteries of Etruria, pubblicato – in prima edizione – nel 1848: un’opera in due volumi, che complessivamente supera le mille pagine. Nello stesso anno vi fu una svolta importante nella sua vita professionale: lasciò l’Excise Office ed entrò a far parte del Colonial Office. Il nuovo incarico lo allontanò per più di dieci anni dall’Europa e dal Mediterraneo: la sua attività si svolse infatti nella Guiana Britannica.
Negli anni Sessanta, ammesso nella carriera diplomatica, riuscì a rientrare e fu vice console e poi console britannico in Sicilia, in Libia e in Turchia, potendo tornare agli studi classici e intraprendendo campagne di scavo piú o meno fortunate. Archeologia e diplomazia in lui si fusero. Gli anni Settanta furono l’occasione per una revisione profonda della sua opera più celebrata e, nel 1878, ne uscì una seconda edizione, profondamente rinnovata rispetto alla prima. Nel frattempo, aveva scritto la guida A Handbook for Travellers in Sicily. Nuovi viaggi e ulteriori campagne di scavo caratterizzarono il decennio seguente che, nel 1888, vide anche il suo ritiro per pensionamento dall’attività diplomatica.
George Dennis morì a Londra nel 1898.
RITORNO DI UN CLASSICO
La prima edizione integrale italiana dell’opera The Cities and Cemeteries of Etruria, pubblicata dalla Nuova Immagine (a cura di Elisa Chiatti e Silvia Nerucci, traduzione di Domenico Mantovani) verrà presentata a Murlo (Siena) nell’ambito del festival BluEtrusco nelle giornate del 18 e del 19 luglio. All’iniziativa interverranno Andreas M. Steiner (direttore editoriale di «Archeo»), Christopher Smith (direttore della British School at Rome), Maria Grazia Celuzza (direttrice del Museo Archeologico e d’Arte della Maremma, Grosseto), Alessandra Minetti (direttrice del Museo Civico Archeologico di Sarteano) e Giuseppe M. Della Fina (direttore scientifico del festival).
Brani tratti dall’opera verranno letti dall’attore David Riondino.
L’antico sito archeologico etrusco la Tomba del Colle di Chiusi torna ad essere visitabile
Dal 21 marzo, dopo ben 30 anni dalla decisione di interrompere le visite, riapre grazie al lavoro del Comune di Chiusi, della Soprintendenza e dalla Banca locale, la Tomba del Colle di Chiusi, l’antico sito archeologico etrusco datato tra il 475 e il 450 a.C. La Tomba del Colle è visitabile grazie all’iniziativa passeggiate archeologiche; qui di seguito vi elenco tutto ciò che c’è da sapere su questa iniziativa:
Note: per la visita al Tomba del Colle rivolgersi direttamente al Museo
La Tomba del Colle si apre a est sulla Valdichiana e la porta in travertino a doppio battente con maniglie in ferro che ancora chiude il sepolcro è preceduta da un lungo dromos (corridio d’accesso) tagliato nel pendio delle colline che caratterizzano i paesaggio di Chiusi. Insieme alla pressoché coeva Tomba della Scimmia, la Tomba del Colle è uno dei numerosi monumenti funerari dipinti presenti nelle necropoli chiusine, che si disponevano sulle colline affacciate sulla valle del fiume Chiana, una delle più notevoli vie di comunicazione interne alla Penisola.
Ancora nel 1911 risultavano visibili otto tombe dipinte, mentre altre (andate distrutte) – illustrate anche da George Dennis nel 1848 nella sua monografia The Cities and Cemeteries of Etruria – erano state visitate dagli eruditi che si recavano nella prima metà dell’Ottocento a Chiusi per esaminare le antichità etrusche (tra questi, Giovan Pietro Vieusseux, Pietro Capei) e dai viaggiatori che compivano il Grand Tour e descrivevano le difficoltà del viaggio e i monumenti visitati, come Elizabeth Hamilton Gray nel 1839 (Tour to the Sepulchres of Etruria).
A proposito di George Dennis e dei suoi libri, se volete fare una visita a Chiusi non potete non leggere “Chiusi – Chianciano – Montepulciano – Cetona – Sarteano – Città della Pieve Città e Necropoli d’Etruria” di George Dennis a cura di Giuseppe M. Della Fina
La Tomba del Colle fu tra le prime (10 maggio 1833) venute alla luce nelle campagne chiusine: scoperte avvenute per merito delle bonifiche del fondovalle del Chiana o, indirettamente, a seguito della ripresa dei lavori agricoli. Dopo i primi casuali ritrovamenti, le ricerche si intensificarono anche se in maniera non del tutto perfetta. Anzi gli scavi di allora provocarono danni irreparabili alle tombe chiusine, in quanto i ricercatori di allora (nobili, clero, scavini o cercatori di professione) avevano come scopo non la conservazione dei beni storici culturali del luogo, ma bensì il ritrovamento di reperti e ricchi corredi destinati ad essere rivenduti nei vari mercati antiquari. Gli scavi venivano eseguiti senza alcun rispetto per il monumento.
Solo nel XX secolo l’archeologia chiusina si adattò alle regole imposte dalla nascita del «servizio» di tutela dei monumenti italiani all’interno dell’Amministrazione statale e dall’avvio di una organica legge di tutela. La decisione di riaprire la Tomba del Colle, chiusa fin dal 1979 per preservare le decorazioni pittoriche incredibilmente ben conservate fino a oggi, nasce da un intervento di restauro resosi necessario a causa della crescita di radici dal terreno al lato dell’ipogeo che aveva danneggiato parte del soffitto dipinto; il danno era passato inosservato a causa della precauzionale chiusura al pubblico della tomba stessa, mostrando, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la cura migliore per un monumento non può essere l’interdizione dell’accesso al pubblico, bensì la sua attenta manutenzione e il monitoraggio continuo. L’apertura, oggi, della Tomba del Colle – come quella della Tomba della Scimmia nel 2003 – testimoniano come gli interventi conservativi eseguiti sui monumenti li valorizzano, rendendo possibile la loro fruizione da parte del pubblico.
Troverete numerosi altri dettagli e curiosità su La Tomba del Colle di Chiusi nell’interessantissimo articoli di Monica Salvini pubblicato sulla rivista Archeo n.364 di giugno 2015.
E’ stata recentemente inaugurata a Giuncarico nel comune di Gavorrano, presso la Rocca di Frassinello, l’Area Archeologica Rocca di Frassinello relativa alla necropoli etrusca di San Germano. Contemporaneamente alla Rocca di Frassinello, gli spazi della cantina disegnata da Renzo Piano ospiteranno una mostra esperienzale sui reperti archeologici della necropoli di San Germano. Da questa mostra prende spunto una narrazione focalizzata in particolare sull’uso del vino in epoca etrusca con l’allestimento di Italo Rota, architetto e creatore del Padiglione del vino all’Expo di Milano.
La mostra è aperta ai visitatori e consente l’esperienza di degustazione del vino esattamente come lo bevevano i nostri antenati: gli etruschi. Il progetto nasce e si incentra su una vera e propria riscoperta della necropoli etrusca di San Germano, una delle realtà archeologiche più importanti del comprensorio dell’antica e famosissima città etrusca di Vetulonia.
Il progetto è nato e si è sviluppato grazie alla collaborazione fra la Soprintendenza Archeologia della Toscana, l’insegnamento di Etruscologia e Antichità italiche dell’Università degli Studi di Firenze e Paolo Panerai che ormai da tempo ha fatto della Rocca di Frassinello un polo di aggregazione di arte e cultura sotto il segno del vino, e con il patrocinio del Comune di Gavorrano.
La necropoli etrusca di San Germano, estesa su entrambi i versanti della valle del Sovata, importante via di collegamento nel territorio dell’antica città etrusca di Vetulonia, è composta da tombe a tumulo. Nell’area archeologica di Rocca di Frassinello si concentrano i tumuli meglio conosciuti della necropoli, costruiti tra la seconda metà del VII secolo a.C. e la prima metà del VI secolo a.C.: tre tombe monumentali sono state interamente recuperate e restaurate creando un percorso di visita per il pubblico.
La mostra dei reperti curata da Biancamaria Aranguren e Luca Cappuccini espone molti oggetti provenienti dalle tombe dell’area archeologica Rocca di Frassinello. Un’area archeologica venuta alla luce alla fine degli anni ‘70, ma solo oggi restaurata con cura: nei quarant’anni passati infatti la Soprintendenza dei Beni Archeologici non aveva fondi per poter lavorare su queste tombe, almeno fino a un po’ di tempo fa, quando gli sforzi si sono concentrati sulle tre più importanti, dislocate lungo un sentiero che attraversa il bosco.
«Le altre sei verranno ristrutturate col tempo» spiega Luca Cappuccini dell’Università di Firenze. «Tutte insieme rappresentano un’ulteriore testimonianza su come era organizzata la società etrusca» continua. Sono proprio i reperti recuperati nelle tombe a raccontarlo: come il pezzo di un carro, oppure le anfore, oggetti che dovevano appartenere a famiglie facoltose. «Sono pezzi di stampo ellenico, in cui si vede chiaramente tutto il corteo dionisiaco» continua Panerai. E anfore, utensili e tutti gli altri ritrovamenti sono finiti in quello che fino a poco tempo fa era il magazzino della cantina, ridisegnato e allestito come una mostra da Italo Rota che afferma «Rocca di Frassinello ci spiega come il mondo contemporaneo è composto di infiniti ponti tra passato e futuro»
Le tombe, già violate in antico, hanno comunque restituito alcuni oggetti dei corredi che accompagnavano il defunto nell’oltretomba. Si tratta per lo più di vasi in ceramica fine dipinta (etrusco-corinzia) e in bucchero, unguentari di varia forma, utilizzati per la conservazione di oli profumati per il corpo, e calici e coppe per il consumo del vino. Antichità che si mescolano con le innovazioni multimediali e in 3D, capaci di riportare in vita i costumi e gli usi dell’epoca. Lo si vede chiaramente nei vestiti ricostruiti in carta, o nel girotondo delle statuine di nobili che danzano alla stagione migliore. Un effetto a contrasto che attraversa tutta la storia di questo spicchio di Maremma dove sorge la cantina di Rocca di Frassinello, sempre più contraddistinta tra vino, arte e storia. http://www.castellare.it/
«La collaborazione fra Rocca di Frassinello, la Soprintendenza archeologica della Toscana e l’università di Firenze ha consentito di rendere visibile una fetta importante della storia degli etruschi e del loro rapporto con il vino», così ci racconta Paolo Panerai, presidente di Rocca di Frassinello, che aggiunge «Questi ritrovamenti sono importanti per l’immagine del nostro vino nel mondo, soprattutto in Cina, dove sono convinti che il vino voglia dire Francia. Invece, fu Giulio Cesare a portare là le vigne nel 60 dopo Cristo. Le tombe e i reperti qui esposti dimostrano al contrario che la nostra tradizione è ben più antica».
Paolo Panerai ha deciso inoltre di realizzare una serie limitata di bottiglie di vino con l’etichetta che ricorda Dioniso, che verrà venduto assieme a vasi in terracotta, gli stessi con cui bevano gli etruschi, mantenendo vivo quel legame magico che si incrocia tra il passato e il presente.