Parliamo di Antonia Pozzi

Antonia Pozzi in “Tre Donne” di Francesco Ricci; Su Antonia Pozzi sta per uscire un lungometraggio a cura di Ferdinando Cito Filomarino, una mostra e una nuova edizione di poesie

Giovedì  22 Ottobre alle ore 18.00, presso la Libreria Einaudi di Siena in via Pantaneto 66 ci sarà la presentazione dell’ultimo libro di Francesco Ricci “ Tre Donne Anna Achmatova, Alda Merini, Antonia Pozzi” edito dalla Nuova Immagine Editrice. Alla presentazione, oltre all’autore, interverrà Mariangela Colella.
Oggi vogliamo parlare di Antonia Pozzi (qui sopra) riportandovi due articoli usciti sul Corriere della Sera La Lettura e sul Sole 24 Ore. Antonia Pozzi, nata a Milano nel 1912, vi morì suicida nel 1938. Poesie, lettere e prose sono usciti da vari editori. È del 2009 Tutte le opere (Garzanti) e del 2012 invece Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia di Graziella Bernabò Secchi (Ancora), Tre Donne 2015 Nuova Immagine Editrice.

Tre Donne di Francesco Ricci alla Libreria Einaudi
Tre Donne di Francesco Ricci alla Libreria Einaudi

Il film su Antonia Pozzi

Antonia Pozzi sapeva guardarsi, aveva un talento unico per proiettarsi fuori da sé e tradurlo in versi. Il cinema in fondo, fa lo stesso  con le immagini: “… ed  i tuoi occhi/ come si fermarono/ ora – in lontani istanti -/sul mio volto”». Ferdinando Cito Filomarino, autore di Antonia. – con il punto, a dar conto di molte scelte definitive, compreso il suicidio pensa a Convegno, poesia del 1935: «I poeti sono materia interessante, tra gli artisti sono quelli che vivono la condizione più estrema», spiega alla «Lettura».

Antonia. è un ritratto dell’artista (giovane per forza, morta a 26 anni) realizzato da un giovane regista al suo primo lungometraggio. E proseguendo sul filo delle somiglianze, il suo autore ammette di avere avuto «l’incredibile vantaggio» di vivere vicino al soggetto del film, geograficamente, ma non solo: «Nelle sue poesie, nelle lettere riconosco molti luoghi cui Antonia si riferiva. Ma c’è – aggiunge anche l’attitudine della borghesia milanese, le famiglie come quella in cui Antonia è cresciuta, per non parlare delle montagne dove andava ad arrampicarsi, le stesse che scalo io». Discendente alla lontana di Visconti (“ci separano tre generazioni ma, al cinema, ho incontrato e amato Brian De Palma prima dei film di Luchino”), Ferdinando Cito Filomarino per raccontare “la vita breve, non piena di eventi, ma piena di intensità» di Antonia Pozzi, ha fatto fin da subito la scelta dell’investigazione: «Ho incontrato i curatori, la biografa Graziella Bernabò, Onorina Dino che all’epoca teneva l’archivio Pozzi, ora trasferito, ho vagliato tutti i documenti disponibili. Il padre di Antonia, bruciando le lettere ricevute dalla figlia, intervenendo su alcune poesie, aveva creato delle zone grigie. In quelle aree ci siamo mossi io e il co-sceneggiatore Carlo Salsa. E quando le certezze biografiche venivano meno, chiedevamo soccorso alla psicoanalisi.

Il mistero dello spirito e della vita interiore di Antonia resta insoluto e non può che essere cosi: la sua stessa esistenza era un continuo interrogarsi, un tentativo di guardarsi nel mondo per cercare il proprio posto. Ma c’erano decisioni importanti da prendere per il film. Sulla sessualità di Antonia, sulla sua verginità, per esempio”.
Quando nel film Antonia compone, lo spettatore è alle sue spalle, segue la mano che scrive, non vede mai il suo viso. Nel mistero di una vita vissuta con intensità bruciante, il verso sembra essere l’unica guida. «Non volevo snocciolare gli eventi, narrare la vita, volevo stare con lei in quei momenti cruciali, non definibili, quando esiste solo ciò che sta prendendo vita sulla pagina. La poesia di Antonia Pozzi non si presta alla declamazione. Chiunque legga i suoi versi ad alta voce si pone come un intruso, tra te e l’opera». Unico ospite ammesso, in un film dove non c’è spazio per altri lirismi, Piero Ciampi e la sua Va. E la scena in cui Antonia, nuda e sola, si dibatte «prima chiusa, raggomitolata su se stessa, poi finalmente spalancata verso il mondo: il modo in cui viveva, in perenne bilico tra questi due estremi. Quella canzone crea un dialogo emotivo tra le epoche. Un incontro poetico a distanza di 40 anni».

Notizie sul Lungometraggio dedicato ad Antonia Pozzi
Antonia. Di Ferdinando Cito Filomarino ha esordito al Festival di Carlovy Vary. I pronostici lo danno per certo al prossimo Torino Film Festival (20-28 novembre). Poi passerà al festival Filmmaker di Milano (27 novembre-6 dicembre) per uscire poi in sala. Il film è prodotto dalla Frenesy di Luca Guadagnino e Marco Morabito, con Christos V. Konstantakopoulos. L’esordiente Linda Caridi (foto in alto), fresca di diploma alla Paolo Grassi, è Antonia Pozzi. Filippo Dini è Antonio Maria Cervi, l’amore osteggiato dal padre, mentre Federica Fracassi è la madre. Sayombhu Mukdeeprom, direttore della fotografia del premiato regista Apichatpong Weerasethakul, firma con Antonia. il suo primo film fuori dalla Thailandia.

Antonia Pozzi
Antonia Pozzi

La mostra su Antonia Pozzi

“È terribile essere una donna, ed avere di-ciassette anni. Dentro non si ha che un pezzo di desiderio di donarsi. Ha ragione lei di dire che le donne non valgono niente. Noi vediamo prima, ma i nostri occhi si chiudono anche prima. Scorgiamo le vette, ma, se qualcuna vi arriva, è perché ha in sé molto virile”. Così scriveva, lucida e profetica, nel 1929 Antonia Pozzi a Antonio Maria Cervi, il suo professore di latino e greco con cui intreccerà la più importante relazione d’amore della sua vita. Un anno chiave, il 1929, per la poetessa allora adolescente: uno spartiacque nella sua vita sentimentale e artistica, perché è l’anno in cui comincia a scrivere poesie e a dedicarsi alla fotografia. A partire dalla fine degli anni Ottanta le poesie di Antonia Pozzi, tutte pubblicate postume, che avevano conosciuto negli anni Settanta un periodo di quasi totale dimenticanza, cominciarono a essere riscoperte, trovando un’accoglienza sempre più entusiastica da parte del pubblico e della critica. E ormai la sua “voce di donna”, dal titolo di una lirica del 1937 tra le più interessanti, è a pieno titolo considerata una delle più significative della poesia non solo italiana ma più ampiamente europea del Novecento. Esce ora una nuova edizione, rigorosamente condotta ex novo sui manoscritti, di tutte le poesie, inclusi alcuni inediti, di Antonia Pozzi (Parole, Tutte le poesie, Àncora editrice); il volume si apre con due bellissimi saggi di Graziella Bernabò, da sempre studiosa raffinatissima degli scritti di Pozzi, e di suor Onorina Dino, creatrice e a lungo amorevole curatrice dell’Archivio Pozzi di Pasturo (dal 2014 donato al Centro Internazionale Insubrico «C. Cattaneo›› e «G. Preti» dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese). Alle curatrici si deve altresì l’edizione completa dell’epistolario pozziano, nonché numerosi studi autorevoli sulla poetessa milanese. Interessante che il volume veda la luce nel momento in cui sta per inaugurare (il 23 ottobre) una grande mostra di fotografie e filmati inediti della stessa Antonia Pozzi, curata da Ludovica Pellegatta e Giovanna Calvenzi presso Spazio Oberdan di Milano: Sopra il nudo cuore. La concomitanza dei due eventi è particolarmente felice, perché testimonia come queste due passioni-vocazioni furono per Pozzi strettamente connesse fin dagli esordi del 1929; quelli fotografici, in particolare, erano da lei ironicamente definiti «mirabolanti eXploits”.

Pellegatta, che ha compiuto un lungo e accurato lavoro di ricostruzione, studio e catalogazione delle fotografie, fa notare che di questi «exploits» rimangono circa quattromila stampe e un numero ancora indefinito di negativi; in mostra saranno esposte oltre trecento fotografie e sei film inediti in formato super8 girati da Antonia, in cui si coglie la sua anima «palpitante, ridente, nostalgica, appassionata”. E si comprende come la macchina fotografica non fosse soltanto, come opportunamente scrive Bernabò, «l’oggetto snobistico di una ragazza di buona famiglia, ma quasi un prolungamento di sé”. Se lei afferma in una lettera del 1937 di scrivere con «il cuore nella penna», lo stesso si potrebbe dire delle sue fotografie, scattate con il cuore nella macchina. Dagli esordi dilettantistici, già estremamente efficaci e originali, alla “consapevolezza del mezzo fotografico”, scrive Pellegatta, che la porta a voler compiere un vero e proprio lavoro di documentazione fotografica: nell’estate del 1938, la sua ultima, Antonia progettava di scrivere con l’aiuto dell’amata nonna Nena «un granderomanzo», la storia «della nostra pianura lombarda dal 1870 in poi», ambientato intorno a luoghi a lei cari, tra cui la Zelata di Bereguardo (dove la nonna viveva) e Pasturo, il suo rifugio, il luogo della creazione poetica concepita in solitudine e silenzio. Per questo progetto Pozzi compie spedizioni fotografiche alla ricerca dell’attimo incantato e solenne : «ieri, con uno splendido sole, tutto il giorno in bicicletta tra Bereguardo e la Motta, ho fotografato risaie, fossi, aratri, buoi», scrive alla madre nell’ottobre del 1938. Fotografa con lo stesso amore per le cose, per il genuino mondo rurale, e per la gente, tutta, e la stessa carnalità e fisicità con cui continua a scrivere poesie, in quell’ultimo anno segnate da una cupa malinconia, aggravata anche dalle leggi razziali che obbligheranno molti suoi amici all’esilio; malinconia e «disperazione mortale» chela condurranno, nel dicembre del 1938, a soli ventisei anni, schiacciata e straziata dalla mancanza di «un affetto fermo, costante e fedele», al suicidio. Quest’anima meravigliosa e altissima, in vita non degnamente compresa e apprezzata, “fiore purpureo fiorito sul filo di una lama” (cosi lei stessa nel 1930), sublime poetessa e fotografa che ha vissuto di poesia «come le vene vivono del sangue» per tutta la sua breve, intensa e straordinaria vita, ora più che mai, grazie alla scoperta di tutte le sue poesie, lettere, fotografie e filmati inediti, nella sua originalità, purezza, sensualità e bellezza di donna è capace di parlare alla nostra contemporaneità.

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