La questione dell’origine della lingua etrusca, e in particolare delle sue relazioni con la famiglia indoeuropea, che rappresenta la componente linguistica più estesa e diffusa in tutta la penisola italica in epoca pre-romana, costituisce uno dei temi più accesi nel dibattito sulla storia e le origini di questo idioma.
Benché tracce di elementi in comune con varie lingue indoeuropee siano state variamente individuate e documentate da diversi studiosi, a oggi la comunità scientifica rimane piuttosto concorde nel definire la lingua etrusca come genealogicamente isolata, per la quale non è possibile documentare o ricostruire con certezza scientifica alcuna parentela genealogica con altre lingue o gruppi linguistici già noti. La lingua etrusca è documentata anche fuori dai confini dell’Etruria propriamente intesa: per quanto riguarda la penisola italica, oltre che in Toscana (e cioè nell’area geografica corrispondente a grandi linee all’antica Etruria), la presenza di documenti in lingua etrusca è attestata almeno anche in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Lazio, Umbria e Campania.

Secondo Cristina Guardiano, studiosa e docente di glottologia e linguistica, presso il dipartimento di comunicazione ed economia dell’università di Modena e Reggio Emilia, la documentazione è redatta in un alfabeto molto simile a quello greco: per questo motivo, la lettura dell’alfabeto etrusco non ha mai creato, fra gli studiosi, sostanziali o insolvibili problemi. “Più complicata – afferma la professoressa Guardiano – è stata, invece, la decifrazione della lingua , principalmente per il fatto che essa, come si è già detto, non sembra presentare nessuna affinità dirimente con altre già note o documentate”. Una difficoltà importante nella decifrazione della lingua etrusca è data dal fatto che la maggior parte della documentazione a disposizione consiste di testi molto brevi (come, ad esempio, nomi propri di persone o divinità). Solo grazie al ritrovamento di testi più lunghi (come il Liber Linteus, che contiene un testo di più di mille parole, la Tegola di Capua o la Tabula Cortonensis, che ne hanno qualche centinaio per ciascuna), di un’iscrizione bilingue (contenuta nelle Lamine di Pyrgi), si sono resi possibili innanzitutto la ricostruzione di una parte del lessico di base e poi l’individuazione di alcune caratteristiche morfologiche (un sistema di declinazioni e classi nominali, un sistema di casi, un sistema di classi aggettivali, etc.), per le quali si ritiene che la lingua appartenga al tipo cosiddetto “agglutinante”. In questa tipologia di linguaggio, ogni relazione grammaticale è espressa attraverso un morfema dedicato, esiste un sistema di pronomi personali, l’espressione della negazione, il sistema dei numerali e poco altro. Impossibile, invece, è ricostruire le caratteristiche di costruzioni sintattiche più estese: la brevità, e la natura stessa, dei documenti a nostra disposizione non permettono di costruire nessuna ipotesi affidabile su questi aspetti. La ricostruzione della storia linguistica degli etruschi rimane per gli studiosi contemporanei una sfida affascinante e intensa: al contrario che nel passato, però, i ricercatori possono oggi contare sui progressi degli studi linguistici, della storia, dell’archeologia, dell’antropologia e della genetica che, soprattutto in una situazione di documentazione complessa come quella descritta, costituiscono supporti cruciali per complementare i dati e le ipotesi a disposizione.
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Metodi di decifrazione della lingua Etrusca
Per la decifrazione, gli studiosi si sono serviti, con esiti alterni, di tre metodi principali: il metodo comparativo, basato sul confronto (prevalentemente di parole o parti di esse) con altre lingue, allo scopo di individuare elementi comuni e, dunque, tracce di affinità genealogiche; il metodo ermeneutico o combinatorio, che studia le relazioni interne fra singole parole nei testi e si basa sulla relazione fra i testi e i loro contesti materiali e culturali, e cioè sul presupposto che non è possibile decifrare una lingua prescindendo dal contesto antropologico e culturale nel quale essa si è prodotta; il metodo tipologico-strutturale, che è basato sul confronto con altre lingue ma, al contrario di quello comparativo, non ha l’obiettivo di individuare relazioni etimologiche e, anziché parole o parti di esse, osserva aspetti legati al tipo di costruzione della frase.